Centro Studi C.N.I – La sicurezza delle reti e dei sistemi informativi: il ruolo degli ingegneri dell’informazione

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Il tema della sicurezza delle reti e dei sistemi informativi è sempre più importante. Non credo che si possa considerare un’opinione di  parte, di chi opera professionalemente nel campo, in quanto ogni giorno dal momento in cui ci alziamo da letto al momento in cui ci corichiamo, abbiamo a che fare costantemente, in modo diretto o indiretto, con sistemi di comunicazione, di gestione delle informazioni, bancomat, pagamenti elettronici, autostrade, treni, aerei, cellulari e smartphone, lavoro, poste, ecc.

L’ICT, in tutte le sue applicazioni possibili, è presente ovunque e se si ferma si fermano o si ostacolano le attività e la vita di ognuno di noi, sino ad arrivare al punto di impedirle completamente.

Inoltre attraverso l’ICT, come in tanti altri campi, si commettono dei reati, tanto più facili ed impuniti quanto meno i sistemi sono progettati,  realizzati e controllati  a “regola d’arte”. La percezione dei rischi  che la società corre ha spinto da tempo la Comunità Europea ad intraprendere azioni di sensibilizzazione sfociate da tempo nella creazione di appositi organi di controllo, suggerimenti , indicazioni e vere proprie direttive da adottare da parte dei membri della comunità.

Uno studio svolto nell’ambito del progetto europeo DOMINO, mostra come i sistemi ICT siano tra i più sensibili nell’indurre effetti di caduta a catena (“effetto domino”) di tutti le altre strutture (economiche, sociali, ecc) su cui è basata la nostra società.

In una ricerca del “World Economic Forum”, condotta all’inizio del 2011, un ampio gruppo di specialisti, leader politici ed esponenti dell’economia mondiale ha persino ipotizzato la possibilità di eventi di caduta di questo genere con una probabilità del 20%,   con possibili effetti economici dell’ordine di 250 miliardi di euro.

Del resto anche senza “scomodare” ragionamenti “sistemici” ed ai “massimi livelli” anche per una PMI il costo della fermata del suo sistema informativo, o anche solo di una sua parte,  può tradursi in gravi danni per la sua attività, per la sua immagine e per le relazioni con i suoi clienti ed il mercato.

E’ quindi sensato e doveroso a qualsiasi livello affrontare i progetti ICT in modo strategico   e mirato a ridurre al minimo i rischi ed a predisporsi  al meglio verso le evoluzioni future.

Purtroppo ancora una volta l’Italia appare essere arretrata con solo un  1,71 %  del suo PIL dedicato all’ICT contro una media EU del 2,71 % ed un 2,98 % di Germania , 3,32 % di Francia e 3,52 % di UK.

E nonostante che ormai la metà della popolazione italiana usi frequentemente internet ed ancora di  più quotidianamente l’ICT sul posto di lavoro, le PMI che vendono  e si vendono “online” non risultano essere più del 6 % e solo un 16,5 % acquista online. Le Pubbliche Amministrazioni non versano certamente in condizioni migliori e l’impegno di attuazione del CAD (Codice di Amministrazione Digitale) è  una delle più grandi scommesse  di rinnovamento del nostro Paese.

In questo scenario quello che si afferma, già a partire da direttive comunitarie, oltre che dal buonsenso, è l’impegno ad affrontare ogni processo di innovazione ICT con l’attenzione ed il metodo necessario, identificando esigenze e obiettivi, vincoli e condizioni di rischio, progettando e scegliendo le migliori soluzioni possibili, collaudandole e mantenendole il controllo attraverso un’osservazione periodica durante il loro impiego.

Questo non solo per i grandi sistemi, ma anche  in ognuna delle nostre decisioni di investimento quotidiane, personali ed aziendali, nella convinzione che il vecchio proverbio “chi più spende meno spende” (e viceversa), si traduca nel concetto,  ovvio, di trovare la miglior soluzione per il massimo beneficio ma con il minimo rischio di “incidenti” futuri.

Il recente rapporto del Centro Studi del C.N.I (Consiglio Nazionale degli Ingegneri) analizza brevemente quanto sopra riproponendo all’attenzione un paradosso del nostro Paese, quello che  viene speso denaro pubblico per la formazione di figure professionali  proprio per questi fini  e nella pratica poi esse non vengono utilizzate per le competenze che hanno, costringendole a far altro o  andare a mettere a frutto altrove  le esperienze pagate dal nostro Paese.

 

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