Le spinte al cambiamento e la reazione (ancora debole)

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Autore: Roberto Gallerani

La ricerca effettuata quest’anno dall’Osservatorio ICT&PMI della School of Management del Politecnico di Milano, su di un campione di circa 1000 aziende italiane con un numero di dipendenti compreso tra  10 a 500, ha messo in evidenza come ormai il 91% utilizzi un sistema gestionale.

Il 6% delle aziende utilizza ERP internazionali, percentuale che sale al 28% nelle aziende con un numero di addetti compreso tra 250 e 500. Nel 16% dei casi sono impiegati gestionali nazionali, mentre un 9% utilizza soluzioni verticali specifiche.

Tuttavia oltre il 50% del campione è caratterizzato da uno scenario applicativo  assolutamente elementare o, in alcuni casi, addirittura assente. Ad esempio nel 42% dei casi viene solo fatto ricorso alle funzioni base: amministrazione e contabilità e, talvolta, gestione del magazzino o in alcuni casi del ciclo attivo e passivo. Esiste poi un 9% di imprese che non utilizza nessun tipo di sistema gestionale, demandando  in molti casi  le funzioni a professionisti esterni e riducendo il proprio parco applicativo unicamente a pacchetti di office automation. Questo caso riguarda prevalentemente  imprese di piccole dimensioni, con un numero di addetti compreso tra 10 e 49, mentre è molto raro il non impiego di un sistema gestionale in imprese con più di 50 addetti. Circa il 18% delle imprese utilizza poi un sistema gestionale sviluppato internamente o da parte di una software house nazionale.

Anche  se, confrontando  i dati rispetto alla medesima ricerca condotta nel 2007, emerge il fatto che  le imprese che non possiedono nessun gestionale si riducono dal 12% al 9%, ed aumenta del 3% la diffusione di ERP internazionali, il panorama  appare ancora assai preoccupante a conferma anche degli stessi rapporti di Confindustria che sottolineano come in Italia la PMI investa molto poco nell’ICT, non riuscendo ad interpetarne il ruolo strategico per creare nuove opportunità.

L’utilizzo di sistemi gestionali in modalità SaaS (Software as a Service) è, ad oggi, assolutamente marginale e confinata solo ad alcuni ambiti specifici.

E tutto questo parlando di applicazioni in un campo, quello gestionale, che ha ormai una storia di almeno 40 anni (è dagli anni 80-85 che in Italia, con la diffusione dei minielaboratori, si è iniziato a diffondere massicciamente l’impiego di software gestionale).

Che dire quindi delle nuove tendenze e sollecitazioni provenienti dal mercato,  dalla società e  dalla globalizzazione ?

Per l’uscita dal momento congiunturale sempre più si parla e si ragiona di far rete tra imprese, professionisti, enti e soggetti diversi, di stimolare la creatività, sostenere le idee, i progetti e la ricerca.

Tutto questo comporta in sintesi:

  • la collaborazione sempre più stretta tra le persone, indipendetemente dagli schemi organizzativi e dalle gerarchie dell’azienda
  • è sempre maggiore la tendenza al “co-working” e ad una “creatività condivisa” partecipando alla formazione di idee e contenuti
  • vi è un crescente orientamento  alla “socialità” che si esplica attraverso un potenziamento della “conversazione” (comunicazione bidirezionale paritetica) a tutti i livelli
  • occorre essere flessibili nel cambiamento dei ruoli e dei processi aziendali
  • i confini delle organizzazioni si estendono sempre più, coinvolgendo clienti, fornitori, partner  ed il fare rete tra piccole e medie imprese diventa sempre più un fattore strategico per la crescita
  • è sempre maggiore  la distribuzione e la “virtualizzazione” nell’accesso ai dati ed alle informazioni, indipendentemente dall’ubicazione geografica e dell’orario di lavoro

Questi aspetti dovrebbero quindi far propendere verso un’attenta valutazione sia dal punto di vista organizzativo che  tecnologico, ormai da tempo  etichettato come web 2.0 /  Enterprise 2.0.  I due aspetti si sposano vicendevolmente ed un’organizzazione che non possieda un orientamento chiaro verso gli elementi sintetizzati prima,  difficilmente potrà ottenere benefici dall’applicazione di strumenti tecnologici i quali, di per sé, non possono certo creare o modificare l’organizzazione, rischiando il rifiuto o un utilizzo ampiamente al di sotto delle possibilità.

Quindi il tutto, dal gestionale all’enterprise 2.0, passa per la capacità e la volonta delle imprese di attribuire un ruolo strategico  all’ICT,  basato su un suo impiego consapevole a partire da una chiara analisi e definizione delle proprie esigenze ed obiettivi. Da tutto ciò la PMI italiana appare ancora abbastanza lontana.

Da un’analisi comparata dei profili di maturità delle aziende, emerge inoltre come siano le persone il fattore principale che spinge all’innovazione in molti dei punti elencati prima: socialità, apertura e co-working, interazione, virtualità. Per gli aspetti legati alla  flessibilità è invece  l’organizzazione ad apparire mediamente più attenta al cambiamento, anche se in questo caso si incontrano spesso limitazioni legate alla rigidità degli strumenti ed alla cultura delle persone.

La chiave di intervento sembra quindi  quella di trovare il giusto equilibrio tra queste “spinte”, convogliandole verso un unico obiettivo di crescita e di creazione di nuove opportunità di valore.

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